È la mia terza settimana qui, a Norimberga, e mentre beviamo il caffè delle 5 (abitudine che, perdonate la poca modestia, mi sento in diritto di poter rivendicare) io ed i miei nuovi coinquilini, rigorosamente tedeschi, parliamo di cultura italiana. Il nome Dante suona alle loro orecchie insolito, più estraneo di quanto potessi immaginare di primo acchito. Sarà che a noi, in Italia, quell’Italia della pizza, pasta e mandolino, La Divina Commedia ce la leggono nella culla (e lo fanno a ragione!).Io, invece, da sprovveduta Italiana doc, mi sorprendo ancora della meraviglia che leggo negli occhi dei miei nuovi amici quando descrivo l’articolazione in gironi e il naso pronunciato dell’Alighieri. Poi cerco di spiegare il difficile compito di diffondere e difendere la cultura italiana a dispetto del progresso che continua imperterrito la sua corsa, lasciando indietro pezzi della nostra storia. E allora siamo tutti d’accordo, Italiani e tedeschi, pronti a batterci per quel legame arcano che unisce un popolo: la lingua.

Racconto loro dell’importanza che ha la società Dante Alighieri nell’istituire e promuovere scuole, biblioteche, circoli e corsi di lingua italiana, organizzare conferenze o assegnare borse di studio ai più meritevoli. Descrivo in modo buffo, forse a tratti comico, quell’intellettuale che nel ‘200 aveva capito che spalancare le porte “alle perdute genti” , sostare al purgatorio e raggiungere “le glorie celesti” avrebbe reso la sua “Comedia” uno spaccato vivido della sua era, sia dal punto di vista morale che etico.

Continuo citando Benigni, le rivisitazioni, i film, tutto quello che è stato prodotto e che, sono certa, sarà realizzato in futuro. So di mettere “molta carne al fuoco”, come diremmo in Italia, ma sono irrefrenabile e loro mi ascoltano e mi chiedono cosa rende un italiano un Italiano.

Ed eccolo il senso di questo articolo, nato da una domanda che mi hanno posto e a cui non so dare risposta. Del resto cosa ci rende Italiani? Certo potrei citare secoli di storia. Potrei partire dai Greci, raccontare dei Romani, della forza di Roma e della lingua latina. Potrei continuare con Dante, Boccaccio e approdare a Manzoni. Parlare di quanto è bello il tempo, di quanto è buono il cibo e di quanto la gente sia aperta e calorosa. Ma mi blocco e mi rendo conto che invece vorrei raccontare loro del tumulto che percepisco nei miei connazionali. Avrei bisogno di dire che siamo in piena bufera, che quando d’Azeglio scriveva “Pur troppo s’è fatta l’Italia ma non si fanno gl’Italiani”, c’aveva visto “più che lungo” (scusate la volgarizzazione!). Vorrei confidarmi con loro e dire che se Dante dovesse scrivere adesso degli Italiani i gironi dell’inferno sarebbero come minimo 206, di certo non 33. Un inferno molto affollato insomma e un paradiso pieno di spazio. Sarebbe bello far capire loro che l’ Italia è un paese ricco di contraddizioni, dove la guerra la si fa tra nord e sud e la cooperazione è un miraggio.

Di fronte all’enormità di questa imbrogliata matassa sto zitta e l’unica cosa che dico è che dovremmo cucinare la pasta. Sembrerebbe una sconfitta il mio silenzio, eppure loro, i miei coinquilini, che l’Italia l’hanno vista solo in cartolina, intonano una canzone di Toto Cutugno e mi dicono che siamo un popolo stupendo. Per di più non vedono l’ora di imparare l’italiano! E così mi armo di pazienza e li aiuto a scandire le parole di “Lasciatemi cantare”. Dentro di me spero che la risposta alla loro domanda sia davvero in quella canzone, dove a cantare è “un Italiano vero”.

Chiara Capuani, Norimberga 10.04.2016